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Vanadia: Neuropsichiatra è medico dello sviluppo, non definisce solo patologie ma individua aree vulnerabilità e prevenzione

“I futuri psicoterapeuti dell’età evolutiva devono imparare a discernere tra sintomi e comportamenti nella complessità dello sviluppo”
A gennaio riparte la Scuola di specializzazione in Psicoterapia Psicodinamica dell’età evolutiva IdO-MITE

“Mi piace pensare al neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza (npia) come al medico dello sviluppo, cioè al medico che non solo definisce eventuali patologie di tipo neurologico o psichiatrico e ne indica l’iter diagnostico-terapeutico, ma che individua, nella complessità del funzionamento neuropsichico e particolarmente dell’età evolutiva, indicatori precoci (positivi o negativi) e potenziali aree di prevenzione oltre che di intervento”. Parte da qui Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), per spiegare come si inserisce l’insegnamento di un neuropsichiatra all’interno della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicodinamica dell’età evolutiva IdO-MITE. “In ambito psicologico, neuropsicologico e neuropsichiatrico esistono aree di confine e di sovrapposizione tra i diversi domini dello sviluppo e le differenti fasi evolutive- precisa Vanadia- Così un segno o un sintomo, che nel caso in oggetto è spesso un comportamento, può essere ascritto a matrici differenti (cosiddetto overlapping sintomatologico) ed è fondamentale comprendere quale sia il meccanismo eziopatogenetico, ovvero se e quale/i causa/e e quale processo abbiano determinato il profilo temperamentale/personologico o il quadro clinico”. Quando ci si occupa di età evolutiva “si aggiungono due elementi a cui dare importanza e risposta- continua la neuropsichiatra- se il comportamento in questione sia fisiologico o meno in quella determinata fase evolutiva, nonché quanto e come le dinamiche relazionali familiari e gli stimoli ambientali possano aver inciso o interferito sullo sviluppo. Quello che sicuramente può essere insegnato agli psicologi, ai futuri psicoterapeuti dell’età evolutiva, è discernere tra sintomi e comportamenti lungo un continuum che è reso ancor più complesso dal fatto che in età evolutiva le funzioni mentali e le abilità specifiche sono ancora in organizzazione”.

Vanadia entra nel merito spiegando che “oltre a possibili cause genetiche o mediche note, sia da un punto di vista sistemico che più nello specifico neurologico e psichiatrico, va poi considerata la possibile causa traumatica, che definisce una condizione reattiva. E in questo caso diviene importante distinguere una reazione transitoria e in qualche modo ancora adattiva, da una reazione cronica o un disturbo ben definito”.

Tornando alla complessità dello sviluppo mentale, alle imprescindibili connessioni tra corpo e mente, tra genetica e ambiente, tra sintomi e disturbi “bisognerà orientarsi tra disturbi specifici e globali, tra condizioni di vulnerabilità individuale e/o ambientale, tra segni di disagio, alterazioni o deficit. Chiaramente- sottolinea Vanadia- il fine ultimo è quello di individuare il più corretto percorso terapeutico e ove necessario il supporto farmacologico, nonché eventuali condizioni di rischio, in particolare in termini psicopatologici, e livelli assistenziali per gravità e complessità”.

Se “i comportamenti rappresentano la punta dell’iceberg e ciò che sta sotto è la complessità dell’essere umano- riporta come esempio la neuropsichiatra- è solo unendo le competenze che si potrà esplorare da ogni prospettiva e ‘in profondità’ la grande complessità di ciascun essere umano. E ai bambini questo lo dobbiamo”. Attraverso “l’analisi non solo di ciò che osserviamo a livello comportamentale ma anche di ciò che gli altri professionisti ci restituiscono con i test, le scale di sviluppo, le prove effettuate, unitamente a una valutazione neurocomportamentale nei neonati/lattanti, che poi diventa un’osservazione ludica per il bambino un po’ più grande e un colloquio clinico a partire dall’età scolare, e attraverso il colloquio con i genitori, credo che l’obiettivo sia quello di dare a un insieme di dati un senso che poi ci restituisce chi è il bambino e di cosa ha bisogno”, conclude Vanadia.